mercoledì 11 ottobre 2017

La studentessa Valentina Campanella di Racalmuto vince il primo posto al concorso nazionale "Pagine di territorio. Storie di uomini e paesi" indetto dal Comune di Crova provincia di Vercelli


La giovane studentessa Valentina Campanella di Racalmuto si è classificata al 1° posto con il racconto "Il vento del Sahara" al premio speciale scuole "Pagine di territorio storie di uomini e paesi" nono concorso letterario nazionale indetto dal Comune di Crova provincia di Vercelli, .
Valentina ha frequentato la scuola media "Pietro D'Asaro", la sua prof.ssa di italiano Edy Leone la ricorda come alunna modello, sensibile ai problemi sociali, altruista e  con grande talento per la scrittura; uscita dalla scuola media con 10 e lode, ha trattato nel colloquio d'esame con consapevolezza un tema attuale ed importante come quello dell'immigrazione e dell'accoglienza degli stranieri.  Adesso Valentina frequenta brillantemente il liceo scientifico di Canicattì. Auguri Valentina !!!

IL VENTO DEL SAHARA  di Valentina Campanella
Tutto cominciò il 5 agosto 2015. Io e Rose eravamo grandi amiche, condividevamo tutto, in quel piccolo paesino dell’Uganda, eravamo sempre insieme, inseparabili. Passavamo giornate intere nei campi, a divertirci da matte, anche se quello era in realtà un lavoro, per riuscire a guadagnare qualche soldo o racimolare almeno un pezzo di pane.
Da molti sentivamo dire che la nostra infanzia è stata rubata, ma non capivamo mai perché, forse perché eravamo due bambine sfollate, che vivevano in una piccola capanna, come un milione e mezzo di altri bambini nord-ugandesi. Io e Rose non ci facevamo tanto caso, a noi importava solo stare insieme, raccontarci e confidarci segreti, stare ore e ore sdraiate sulla sabbia del deserto, la sera, a guardare le stelle: – Guarda quella stella lassù, Ellie, guarda come brilla – diceva sempre Rose – vorrei trascorrere così il resto della mia vita, sdraiata a guardare le stelle, con il vento del deserto che ti accarezza il viso –. Io le dicevo: – Hai ragione, Rose – perché alla fine Rose aveva sempre ragione, in qualsiasi circostanza. Quella calda mattina del 5 agosto però, successe un fatto destinato a cambiare la mia vita, per sempre. Mi trovavo nella mia piccola capanna, con il mio fratellino, stavo aiutando mia madre a preparare il pranzo, quando venni a sapere che Rose era stata rapita dall’LRA insieme ai suoi genitori. Mi cadde il mondo addosso, non poteva accadere una cosa più brutta di questa: Rose, la mia migliore e unica amica, che da sempre mi rendeva felice anche se la vera realtà offriva pochi spiragli di speranza, era stata rapita, e non sapevo se sarei mai riuscita a rivederla un giorno, a rincontrarla, non sapevo se sarebbe rimasta viva o se sarebbe stata uccisa da quei soldati cattivi, il cui intento era rubare l’infanzia dei bambini. Ecco, ora capivo tutto. Ora capivo perché quelle persone parlavano di infanzia rubata ed era troppo tardi. Non sapevo più cosa fare, Rose era stata rapita e le ore sembravano interminabili, faticose, non riuscivo più a sopportare l’enorme fardello delle mie giornate. Ora tutto mi sembrava più duro e insopportabile, ora capivo e mi rendevo conto della nostra situazione, non avevo più voglia di guardare le stelle, mi sembravano spente, come se non volessero più darmi uno spiraglio di luce. Qualche giorno dopo il rapimento, mi recai al pozzo per prendere l’acqua e incontrai un bambino del villaggio vicino che era riuscito a scappare dal campo dove era stato tenuto prigioniero insieme a Rose. Mi raccontò che era stata utilizzata dall’LRA per compiere attacchi contro i villaggi, per rubare cibo e animali, per rapire altri bambini. Rose aveva cercato di fuggire, ma era stata ripresa e punita con trecentocinquanta colpi alla schiena. Nonostante ciò, aveva cercato nuovamente di fuggire, la mia Rose testarda sempre come un mulo; stavolta per punizione le avevano ucciso la madre, accusata di essere stata sua complice. Povera Rose, la mia dolce amica. Perché questo destino crudele? Non riesco a spiegarmelo. Un giorno mio padre venne nel campo dove lavoravo e mi disse: – Ellie, dobbiamo partire, non possiamo continuare a vivere qui, siamo in pericolo –. Era 2 molto serio, come se decidere fosse per lui un grosso peso. – Ricomincerò da capo, mi procurerò un lavoro, troveremo una casa e potrai andare a scuola, anziché lavorare, potrai diventare istruita e quando sarai grande la vita sarà più facile –. La decisione era presa. Io non sapevo cosa rispondere, a un tratto mi passarono centinaia di immagini per la mente: io e Rose che chiacchieravamo le sere d’estate sotto il cielo stellato; mio fratello che girava attorno al tavolo per non farsi prendere dalla mamma; i miei nonni che ancora non si arrendono e combattono contro la fame. Non potevo lasciare il mio paese, i miei ricordi, la mia infanzia, per me era tutto nonostante non avessi niente, perché avevo accanto le persone più care. Mi asciugai il viso, le lacrime scorrevano da sole come un fiume in piena, ma dopo un po’ cominciai a far ragionare la mente e non il cuore, così dissi a mio padre: – Va bene Babu, andiamo, è giusto così. Quella stessa notte mio padre e mia madre svegliarono me, il mio fratellino e iniziammo il nostro lungo viaggio con l’amarezza nel cuore e il pianto in gola. Camminammo fino all’alba, e durante il viaggio si unirono a noi altre famiglie. Attraversammo la distesa del deserto, vedemmo il sole sorgere e tramontare per ben cinque volte. Ogni sera accendevamo il fuoco per mangiare tutti insieme quel po’ di cibo che avevamo portato con noi. Accanto al fuoco ognuno raccontava la propria storia, una storia triste, ma nello stesso tempo piena di speranza, la speranza di trovare una vita migliore, una vita serena per sé e per i propri figli. Così si fantasticava su meravigliosi progetti, io ascoltavo ma non riuscivo a immaginare la mia vita lontano da qui, dal vento del deserto che mi accarezzava il viso, lontano dalla mia Rose. Un giorno arrivammo in un piccolo villaggio con capanne circondate da cespugli pieni di fiori bianchi e profumati. Mio fratello Nali ne faceva dei mazzolini per la mamma e lei li sistemava tra i capelli. – Come sei bella – diceva Babu. Per mio padre la mamma era la sua principessa e faceva di tutto per renderla tale. A un tratto comparvero alcuni uomini che ci fecero cenno di seguirli. Mio padre si avvicinò a loro, poi ci ordinarono di salire su un camion e ci sistemammo su alcuni sgabelli di legno. Ogni bambino doveva stare in braccio alla propria madre, li guardavo, avevano gli occhi impauriti e spalancati, non comprendevano il perché di tutto questo e chiedevano di poter tornare nella loro tenda, nel loro nido. La notte passò in un batter d’occhio, anche perché quasi tutti riuscirono a dormire, io invece rimasi ore e ore a guardare le stelle, pensando a Rose, avrei voluto chiacchierare con lei, condividere con lei questi brutti momenti, anche perché sicuramente avrebbe trovato il modo per consolarmi. La mattina seguente un gruppo di ragazzi, anch’essi sul camion, accesero la radio e a un tratto si interruppe la musica per la comunicazione di una notizia straordinaria. Una bambina di colore stava tenendo un discorso in un convegno internazionale e diceva: – Si alzano muri, si costruiscono barriere con filo spinato, si chiudono frontiere, è inimmaginabile nella nostra epoca assistere a scene di questo genere. È impensabile proibire a donne, bambini, uomini disperati di poter migliorare la loro vita, anzi di permettere loro di vivere. 3 Gli esseri umani appartengono a un'unica patria, il mondo, e gli stranieri sono soltanto coloro che abitano lontano, ma che si trovano sotto lo stesso cielo. Perché negare loro la possibilità di spostarsi liberamente in cerca di fortuna? Nessuno abbandona volentieri la propria casa, i propri affetti o le proprie radici, è la necessità di vivere una vita migliore che spinge a farlo –. Scoppiò un applauso fragoroso. – Sono fuggita dalla povertà, dalla guerra, dalla violenza, dalla morte insieme a molti altri, affidandomi a intermediari crudeli, a veri e propri mercanti di vite senza scrupoli, i quali promettono di realizzare sogni, desideri, speranze, di farti oltrepassare quel braccio di mare che separa l’Africa dall’Europa, l’inferno dal paradiso, che per molti purtroppo rappresenterà la morte, la fine di ogni speranza. Io sono riuscita a toccare terra grazie agli “Angeli del mare”, credevo di aver superato il male peggiore, ma non sapevo che mi aspettasse un destino più crudele, perché ho dovuto fare i conti con l’atroce malattia del razzismo, una malattia che come diceva la mia maestra: “colpisce i bianchi, ma fa fuori i neri” –. Questa frase non mi è nuova, pensai tra me e me, anche la mia maestra la diceva sempre. La ragazza poi continuò: – Quando arrivai in Europa, la terra della civiltà, ho dovuto sopportare condizioni di vita di estremo disagio insieme a molti altri immigrati, vivendo in alloggi di fortuna, affrontando quotidianamente la solitudine e l’emarginazione della gente, che ci accusa di essere venuti per sottrarre il futuro ai loro giovani. Io vorrei dire che sono venuta per poter realizzare i miei sogni, studiare, migliorare la mia vita e poter un giorno ritornare in Uganda per cambiare e migliorare la vita del mio paese. Penso che l’umanità abbia particolarmente bisogno non di uno scontro di razze, ma di una civiltà del convivere, di una coesistenza delle diversità, della compresenza di etnie e culture. La strada per la tolleranza è difficile da percorrere, ma non impossibile, e per farlo non bisogna costruire muri o barriere, ma ponti, legami che ci permettano di aprire gli orizzonti e di arricchirci reciprocamente –. Ogni tanto andava via la voce e il ragazzo che teneva la radiolina in mano la portava verso l’alto, verso destra o verso sinistra per riprendere la frequenza. I bambini in braccio alle loro mamme tacevano come se capissero che si trattava di un discorso importante. – Mi auguro che in un futuro non troppo lontano si possa finalmente dire che il mondo è uno solo, dove la vita sia vissuta con i colori giallo, bianco, nero, dove tutti anche se di colore diverso siano uguali nella loro diversità –. La ragazza concluse così il suo discorso, il presidente del congresso applaudì e disse: – Sei stata davvero coraggiosa, Rose, nessun capo di Stato è mai riuscito a tenere un discorso del genere –. Appena udii il nome di Rose saltai dallo sgabello sui cui ero seduta, il cuore mi batteva, le gambe mi tremavano, non potevo credere alle mie orecchie, grazie alla sua testardaggine Rose era riuscita a trarsi in salvo e io ero fiera di lei. Dopo questo lungo discorso, tutti noi avevamo le lacrime agli occhi, ma anche una speranza, un piccolo spiraglio di luce che si intravedeva dopo il tunnel infernale della nostra condizione. A un tratto mio padre disse: – Siamo vicini al mare, l’aria è più calda e più dolce –. Io ero curiosa, molto curiosa di arrivare in questo famoso “mare”. A scuola ci avevano spiegato che il 4 mare è una distesa di acqua salata. Tanta acqua, che arriva fino all’orizzonte e anche molto più in là. Più ci avvicinavamo al mare, più il paesaggio cambiava; non c’erano villaggi di capanne, ma città con strade asfaltate e case di mattoni. Era buio quando il camion a un tratto si fermò, io stavo dormendo sulle ginocchia di mio padre, mentre mamma teneva in braccio mio fratello Nali. Ci svegliammo di soprassalto, nemmeno il tempo di capire dove eravamo che già ci ritrovammo su un gommone. Mio padre prima di salire parlò con un signore dal viso abbastanza strano e gli consegnò una busta piena di soldi. Il signore cominciò a scuotere il capo e a urlare: – Non bastano, non bastano –. Si avvicinò un altro uomo grande e robusto che prese per un braccio mio padre e lo portò via. Mia madre cominciò a urlare, a divincolarsi per scendere dal gommone, ma fu inutile, nel giro di pochi secondi mio padre fu come inghiottito dal nulla. Io rimasi sbalordita, non riuscivo a capire se si trattasse di un brutto sogno o se fosse una triste realtà. Gli altri compagni spiegarono a mia madre che i soldi non bastavano per tutti e mio padre sarebbe dovuto rimanere per ripagare la restante parte del viaggio con il suo lavoro e solo così sarebbe potuto salire sul gommone. Fu l’ultima volta che vidi il viso di mio padre. Il gommone della speranza partì all’alba, mia madre cercava di non piangere, di farmi coraggio: – Ellie, andrà tutto bene, papà ci raggiungerà presto con il prossimo gommone, stai tranquilla, lo rivedremo –. Sapevo che cercava di farsi coraggio da sola, perché senza papà tutto era più difficile. – Papà è stato sempre un eroe e saprà cavarsela anche stavolta – le risposi con tono sereno, sforzandomi di non far trasparire la paura che nutrivo nel cuore. A un tratto il mare cominciò ad agitarsi facendo alzare su e giù il gommone. Io, la mamma e Nali ci abbracciammo forte per restare uniti. Le onde si fecero via via più alte, il gommone si rovesciò e ci ritrovammo tutti in acqua. Sentivo le urla di mia madre, il pianto di mio fratello, le grida dei miei compagni di avventura, sembrava l’inferno. Cercai di muovere le braccia per rimanere a galla, l’acqua era gelida, mi sentii paralizzata e cominciai a pensare a Rose, a mio padre, alla mia infanzia, un’infanzia rubata sì, ma piena di affetto e di calore con il vento del deserto che mi accarezzava il viso. Fu in quel momento che mi sentii tirare per il braccio, mi girai e vidi un uomo vestito di bianco, un angelo venuto dal mare, grazie a lui fui tratta in salvo. Gli altri invece non ce l’hanno fatta, il mare li ha inghiottiti, però sono morti con la speranza nel cuore. Ora vivo presso una famiglia siciliana, la mia vita è cambiata, sto bene, ho imparato l’italiano, ho conosciuto la pizza, è buonissima, la mangerei ogni giorno. Non vado più a lavorare e frequento la terza media. La scuola sì, la scuola è una risorsa fondamentale, perché mi dà l’opportunità di conoscere tutte le informazioni che servono per migliorare il mio destino, capire meglio il mondo che mi circonda, ma soprattutto mi permette di essere libera. Spero un giorno di rivedere Rose e realizzare i progetti che condividevamo insieme: migliorare il nostro paese, permettere ai bambini di studiare, regalare loro un’infanzia felice, piena di speranza e poter dare l’opportunità di far sentire la loro voce, la voce del vento del deserto. 

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